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CopenaghenIl 19 dicembre 2009 si è concluso il vertice mondiale sui cambiamenti climatici. Un documento finale è stato sottoscritto dai paesi partecipanti; nessun impegno vincolante è stato assunto dai paesi industrializzati, ma è stata riconosciuta la gravità del problema, l’urgenza di misure che riducano l’innalzamento medio della temperatura attraverso politiche di riduzione delle emissioni di gas climalteranti e la necessità di interventi che attenuino gli effetti ormai inevitabili già in atto (eventi climatici estremi, desertificazione, riduzione della biodiversità). E’ stato riconosciuto che gran parte delle conseguenze negative si avranno proprio sui paesi poveri a causa della fragilità degli ecosistemi delle latitudini estreme (sia polari che equatoriali-tropicali) e della carenza di risorse economiche per interventi di mitigazione. Proprio per questo gran parte della discussione si è incentrata sulla quantità di denaro che i paesi ricchi avrebbero dovuto mettere a disposizione dei paesi pover. In altre parole, quanto devono pagare coloro che sono responsabili del problema per continuare nel loro modello di sviluppo. Una parte del mondo ambientalista ha ormai accettato il principio del “chi inquina paga”: siamo in un sistema capitalistico, quindi dare un costo all’inquinamento è il sistema migliore per prevenirlo.
Questo approccio è corretto in linea di principio, ma credo abbia deviato l’opinione pubblica da una comprensione globale del problema.  
Di tutti i miliardi di dollari che si sposteranno dai paesi ricchi a quelli poveri, quanto andrà al contadino del Burkina Faso che convive con la desertificazione del proprio campo? Quanto costa un atollo del Pacifico che scompare sotto l’innalzamento del livello del mare? Come si rimborsano le migliaia di specie viventi che si estinguono?  E così di seguito si potrebbero elencare decine di paradossi dove il denaro non può in alcun modo ripagare i danni generati.
Inoltre decenni di cooperazione internazionale ci hanno insegnato che spesso i flussi di denaro vengono gestiti o direttamente dai paesi “donatori” con scarse ricadute (e spesso negative) sulle economie locali o dai governi  locali che raramente si preoccupano delle fasce deboli della società.  
E’ vero. Per ogni problema complesso esiste sempre una soluzione semplice; peccato sia quella sbagliata. E il problema dei cambiamenti climatici è sicuramente il problema più complesso con cui l’umanità abbia mai dovuto confrontarsi. Ciò nonostante, almeno per quanto riguarda le responsabilità, credo che i termini siano più semplici di come vengono posti: tutti gli abitanti della terra vivono nella stessa atmosfera; e questa atmosfera non conosce confini o barriere; attenzione dunque a paragonare (come si vede spesso sui giornali) le emissioni della Cina con quelle della Svezia da cui apparentemente traspare la virtuosità dei “nostri” contro l’egoismo dell’”altro”: non ha nessun senso. In Cina vive più di un  miliardo di persone; e fra loro l’impronta ecologica di un abitante di Shanghai è probabilmente 100 volte superiore a quella di un contadino di una provincia interna; in Svezia vivono solo 10 milioni di abitanti ma il loro contributo individuale medio alle emissioni climalteranti è comunque insostenibile, nonostante la storica attenzione dei paesi scandinavi alle problematiche ambientali. Le responsabilità dunque sono individuali: ogni singolo abitante del pianeta sa che, se il suo tenore di vita comporta emissioni di gas serra in quantità superiore a quanto l’atmosfera può tollerare, lo fa depredando altri esseri umani del diritto ad una vita dignitosa. E non c’è denaro che possa ripagare questa ingiustizia.

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