Abbiamo pensato di iniziare questa giornata di studio parlandovi di come l’omeopatia affronti il filo rosso che collega il singolo individuo con le generazioni precedenti e successive.
La storia di Hahnemann esprime, secondo me, un percorso che può apportare nuovi spunti e stimoli al tema che ci interessa sviluppare oggi.
Hahnemann, medico tedesco vissuto fra il 1755 e il1843, è colui che scoprì e divulgò l'omeopatia attraverso numerosi scritti. Il testo considerato come la Bibbia dell’omeopatia è l'Organon uscito per la prima volta nel 1810 nel quale descrive infatti in maniera esaustiva le basi filosofiche e pratiche di questa pratica medica.
Ho intitolato l'intervento "Le intuizioni di Hahnemann" perchè fu un pensatore anche troppo innovativo per il suo tempo che precorse con numerose intuizioni che sono in parte state acquisite e dimostrate e in parte ancora oggi oggetto di discussione. Non c'è abbastanza spazio in questa sede per parlare delle varie intuizioni che percorrono il suo lavoro, quelle che vorrei invece sottolineare è un tema che caratterizzò la parte finale della sua vita e cioè quanto la vita di una persona ha a che fare con la sua storia precedente famigliare e collettiva e in che modo si può intervenire con la cura omeopatica.
Prima di arrivare a questo punto che è a tutt'oggi oggetto di discussione in campo omeopatico volevo brevemente fare un piccolo exursus sui temi salienti del pensiero hahnemanniano per contestualizzare meglio questo ultimo sviluppo. Hahnemann spese la prima parte della sua vita nello studio della nuova scienza che era caratterizzato principalmente da due principi 1) l'individualizzazione, 2) l'uso di sostanze in diluizione.
In opposizione alla tendenza preponderante del tempo Hahnemann si rifece a quel filone di pensiero che è la medicina vitalista che affermava la irriducibilità dei processi vitali a fenomeni chimici e fisici. Considera infatti come tali processi siano governati da forze differenti da quelle che intervengono nella materia inanimata. All’opposto la medicina meccanicista considera a tutt'oggi l'organismo come formato da singoli organi e apparati che vengono studiati e analizzati nei loro più intimi meccanismi come appunto una macchina che è comune a tutti gli individui. Ne consegue che ogni persona è un essere a sé stante con delle sue reazioni peculiari sia a livello emotivo sia fisico, come ognuno di noi ha una sua impronta digitale così ognuno ha una sua energia vitale che si esprime con delle caratteristiche emotive e fisiche che lo caratterizzano.
"Se la vita, come la salute, come la malattia si comprendono meglio realizzandosi in un piano dinamico, in questo stesso piano dobbiamo concepire la guarigione, come lo sforzo e il conseguimento di riportare all'equilibrio e all'equanimità che costituiscono la salute." Anche la malattia ha quindi delle espressioni individuali che devono essere trattate con un rimedio che il più possibile si avvicina ai sintomi generali del soggetto. Da questa premessa si arriva alla seconda scoperta legata all'uso delle sostanze medicamentose. Per prima cosa arrivò alla legge di similitudine cioè al fatto che la malattia naturale può essere curata attraverso l'uso di sostanze che hanno provocato in un organismo sano un quadro artificiale il più possibile vicino a quello che manifesta il paziente. Seguendo questo filone di pensiero sperimentò su se stesso, su amici e famigliari una serie di medicamenti usati all'epoca in dosi massicce sugli ammalati provocando una serie di effetti collaterali che davano origine a quelle che vengono chiamate malattie iatrogene. Per evitare tali effetti iniziò a diluirle sempre di più fino a arrivare a dosi infinitesimali, in cui non c'era più materia. Si rese conto che tali preparazioni, oltre a non avere effetti collaterali duraturi, sviluppavano nel soggetto sano una serie di sintomi non solo locali, ma generali che interessavano anche l'aspetto emotivo del soggetto che lo sperimentava. Ipotizzò quindi che si venisse a creare una malattia artificiale più forte rispetto a quella naturale e che quindi si sviluppasse nel paziente una reazione più forte che porta all'eliminazione della malattia naturale. Considerò la malattia e i sintomi che si manifestavano come una capacità reattiva della singola persona, della sua forza vitale nel tentativo di superare la malattia, per questo motivo la cura non poteva essere l'opposto, il contrario, ma un aiuto che andasse nella stessa direzione.
Il suo primo studio quindi si è focalizzato sull'individuo e su come attraverso l'espressione sintomatologica manifestasse lo sforzo della sua forza vitale per eliminare, in maniera imperfetta se lasciato da solo, la malattia. Oltre a sviluppare lo studio delle singole sostanze, a volte anche sostanze inerti diluite e dinamizzate, in modo da individualizzarle meglio per poterle poi usare nei pazienti.
La diluizione dei rimedi, a proposito di intuizioni, viene studiata in questi ultimi anni da alcuni ricercatori che stanno dimostrando la maggiore utilità di usare sostanze diluite per ottenere un maggior effetto terapeutico (vedi gli studi che riguardano l’ormesi).
Fra il 1816 e il 1827 lavorò giorno e notte perché si accorgeva che pazienti trattati in questo modo si ripresentavano in tempi più o meno lunghi con sintomi nuovi o con vecchi disturbi che andavano sempre più a aggravarsi o che non rispondevano più ai rimedi precedenti. Interrogandosi su questo aspetto arrivò a una conclusione racchiusa nel libro "Le Malattie Croniche" pubblicato per la prima volta nel 1828.
"Il grande individualizzatore della malattia si dedica alla più estensiva generalizzazione" (Barbera…). Partendo dall'individuo estende infatti il suo studio alla famiglia e alla collettività. Il processo con cui arriva a tali conclusioni è un processo piuttosto articolato in cui parte studiando la storia individuale e accorgendosi che non si può considerare il quadro morboso attuale senza inserirlo nella storia generale dell'individuo e della sua famiglia. Andando a rivedere le cartelle dei suoi pazienti e leggendo casi di diversi medici dell'epoca, si rese conto che nella storia personale di differenti individui c'era un sintomo iniziale che riguardava la comparsa di una dermatite di tipo pruriginoso soppressa da farmaci o trattamenti locali o sparita in modo spontaneo. Identificò in questa prima manifestazione cutanea il primo segno di malattia nell'individuo da cui partivano poi manifestazioni che prendevano forme differenti nel corso della vita. L'origine di tutto era in questa manifestazione esterna che Hahnemann considerava come il tentativo da parte della forza vitale individuale di eliminare il primo contatto patogeno. Nel momento che veniva soppressa la dermatite non veniva eliminata la malattia, ma solo la sua espressione esterna per cui lo squilibrio in maniera più subdola si localizzava in altri organi o apparati più interni minando maggiormente la reattività della persona. Il prurito da esterno diventava interno e quindi non visibile.
Contemporaneamente iniziò a studiare le patologie che avevano colpito il genere umano, costruì quindi quello che possiamo considerare il primo studio di epidemiologia e malattia sociale. Anche in questo caso vide che le prime malattie che colpirono il genere umano erano localizzate sulla pelle e identificò nella lebbra la prima espressione di un disequilibrio interno. In un primo momento la localizzazione esterna faceva sì che non fosse così distruttiva per gli organi interni con l'andare dei tempi e sopratutto nel medioevo la localizzazione esterna è stata sempre di più soppressa da unguenti, abiti di cotone, medicamenti e il disequilibrio è stato maggiormente interiorizzato. La pressione interna in quell'epoca era diventata sempre più forte per cui secondo Hahnemann c'è stato bisogno di decongestionare il tutto attraverso altre due manifestazioni che avevano un decorso analogo rispetto al primo miasma identificato che aveva chiamato Psora. Studiò due malattie che in quel periodo si stavano diffondendo in maniera particolare: la gonorrea e la sifilide e chiamò Sicosi il miasma che derivava dalla soppressione della gonorrea e Sifilide quello che si instaurava nell’organismo dopo l’eliminazione o la “cura” spontanea dell’ulcera sifilitica. Nel corso degli anni questi tre miasmi si sono mescolati e hanno dato luogo a altri tipi di espressione patologica con cui abbiamo a che fare ancora oggi.
E qui si inserisce il problema della terapia che, come si può immaginare, è abbastanza complesso.
La direzione di cura è quindi quella che ha determinato il pensiero di Hahnemann. Per prima cosa viene considerato l'individuo nella sua peculiarità data dall'espressione sintomatologica della manifestazione acuta per cui di solito il paziente si avvicina al trattamento. Per esempio può arrivare per una gastrite o una sciatica o una dismenorrea, manifestando dei sintomi che quindi hanno delle modalità ben specifiche e individuali. Quello che interessa in questa fase sono i sintomi principali di cui soffre la persona con le modalità che di solito sono sue proprie, per esempio soffre di un dolore cefalalgico che migliora in certe situazioni o peggiora in altre, utili sono anche altri sintomi collaterali che accompagnano la malattia di base, come anche il suo stato emotivo, nella sua componente affettiva e intellettiva, i suoi miglioramenti o peggioramenti generali legati al clima o agli alimenti che cerca o rifiuta. In un secondo momento il tutto viene esaminato nella sua storia generale per cercare di capire quando la sintomatologia sia comparsa e cosa l'ha scatenata, quale cioè è stato il fattore o la situazione che ha fatto emergere il problema. Questo ci fa capire il primo momento in cui la persona ha iniziato a manifestare la sua predisposizione e ci fa riconoscere la sua malattia cronica. In una ulteriore fase, quando i sintomi “acuti” non sono più così urgenti, va quindi analizzata tale predisposizione, non solo nella storia individuale, ma in quella famigliare. Non si annotano solo le malattie organiche o di funzione presenti nei vari rami famigliari, ma si indaga anche sull'aspetto emotivo dei famigliari o su storie che ricorrono nella famiglia che possono richiamare alcune attitudini emotive presenti nel paziente. Per esempio in una persona che soffre di un sentimento di abbandono anche quando questo non è giustificato nella sua storia personale, oppure è ampiamente giustificato dal fatto che si mette sempre in storie o situazioni in cui si sente sempre abbandonato, si può rintracciare nella famiglia un sentimento simile in uno dei due rami a volte anche con degli eventi che possono chiarire questo sentimento. Naturalmente questo sintomo nella presa del caso assume un rilievo predominante perché percorre sia la sua storia attuale sia quella precedente. Nello stesso modo si considerano anche i sintomi fisici che si trovano ricorrenti nella sua famiglia. Questo momento richiede un trattamento miasmatico cioè con rimedi che Hahnemann e i suoi allievi hanno identificato in tal senso in quanto lavorano maggiormente su questo piano. Per fare questo bisogna conoscere la sintomatologia tipica di ciascuno dei tre miasmi e identificare quale ramo predomina maggiormente nel paziente. E un processo, come dicevo prima, complesso che ho molto semplificato per dare un'idea di quello che dovrebbe essere un percorso omeopatico.
Quello che mi preme sottolineare è il passaggio che Hahnemann ha effettuato nel corso della sua vita, il passaggio dall'individuo al collettivo, si è reso conto che "Senza radici non si vola", per parafrasare il titolo di un libro di Hellinger. Senza quello che sta dietro di noi non si può procedere, non si può andare avanti e superare i blocchi che rischiamo di ripresentare e di riproporre senza fine nella nostra e nella vita dei nostri figli o di chi viene dopo di noi.
Esiste poi un ultimo livello che riguarda il miasma collettivo. Abbiamo visto la manifestazione acuta, la malattia cronica e quello che sottende la vita della persona. C’è poi un ultimo aspetto che riguarda l’epoca in cui l’individuo vive, ogni epoca storica ha infatti delle sue caratteristiche. Anche le malattie andrebbero studiate in relazione al momento storico in cui si manifestano. Come già detto altre volte le malattie acute hanno una funzione esonerativa come la valvola della pentola a pressione che ogni tanto deve sfiatare, per l’individuo, così le epidemie lo sono per la collettività. Da qui ne deriva l’importanza delle epidemie per la società. Bloccare lo sfogo aumenta la pressione interna a livello collettivo. Siamo in un’epoca in cui la Sicosi ha raggiunto un livello importante di estensione. Basta pensare alla velocizzazione in cui siamo immersi sia da un punto di vista tecnologico, produttivo, consumistico, superiore alle possibilità dell’uomo, come si andasse troppo rispetto alla sua possibilità di metabolizzazione. L’epidemia può essere un momento dove si possono trattare più individui contemporaneamente per riabbassare la pressione interna. Se siamo meno Sicotici avremo più cura dell’esterno, produrremo meno rifiuti inquineremmo meno, l’ambiente intorno a noi migliorerebbe e di conseguenza anche noi. Se leggiamo la descrizione della Sicosi fatta da alcuni autori della scuola argentina possiamo vedere l’immagine di uomini politici che ci rappresentano, che incarnano lo spirito di un’epoca.
“Il miasma che definiamo secondo è la Sicosi, molto ben individuata dal maestro Hahnemann per la sua caratteristica produttività, neoformazioni, escrescenze dentate o peduncoli come fichi. E’ indubbiamente la condizione patologica dell’eccesso, della fuga, dell’iperplasia, dell’ostentazione, delle escrescenze tumorali, dell’acceleramento... E’ il miasma prodotto dall’egoismo, dall’ambizione -ambizione del piacere senza pensare agli altri- con l’egoismo che fa dimenticare tutti e anteporre se stesso… Mentalmente sarà l’audace, il classico vincitore la cui abilità gli procurerà vantaggi in tutto; sarà l’impaziente, colui che vuole sempre qual cosa e lo persegue immedesimandosi con ciò che vuole ottenere… Presuntuoso, dittatore, fatuo, impertinente, ma attivissimo. Ha del resto la necessità di muoversi continuamente, essere impegnato. I suoi affetti saranno sempre posposti alla sua egolatria, potrà amare, ma sempre molto meno che se stesso e gli oggetti e i suoi sentimenti saranno sempre atti a fomentare l’amore per se stesso” (P.S. Ortega “Appunti sui miasmi”, Cemon 1982 ).
*Miasma: nel periodo di Hahnemann si intendeva emanazione, cattivo odore, veleno; lui la estese a una condizione ereditaria o acquisita. Viene dal greco miaino: macchio, contamino, la base richiama una parola ebraica che significa, macchia, ferita.