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Editoriale:

Cosa hanno in comune le nostre antiche origini provenienti dalla Grecia classica, la filosofia e il diritto alla scelta di come curarsi e di come vivere fino alla fine?
La cosa sostanziale che li unisce in queste pagine è che tutte ci riconducono alla capacità di pensare, alla facoltà dell’essere umano di proteggere la propria libertà,  usando l’intelligenza della ragione unita al sentire.
PBS E poi li fece giurare COVERAdriano Bugliani ci dice nella pagine seguenti che “la filosofia è l’antidoto contro qualunque forma di fanatismo”; è una considerazione quanto mai appropriata in questo momento storico. Mi viene da aggiungere che la filosofia è anche una “medicina” potentissima che aiuta l’individuo a superare molte prove e a progredire, proprio perché gli permette di    esercitare la proprietà di pensiero.
Nelle ultime settimane si è scatenata una situazione enormemente difficile sul tema dell’obbligatorietà vaccinale. Ci riguarda tutti, come genitori, come pazienti, come cittadini.
Questa pubblicazione è un quadrimestrale, ha perciò un lavoro redazionale molto esteso nel tempo che non può essere aggiornato su tutta la sequenza di avvenimenti, passaggi legislativi e boom mediatici. Come periodico abbiamo una vocazione diversa dal diario di cronaca. Alcuni articoli sono d’archivio ma ci sembra che siano attuali e offrano informazioni chiare. Altri contenuti potranno sembrare sorpassati da ciò che è accaduto in questi giorni, proprio per i tempi redazionali.
D’altra parte rimane sempre un senso di strumentalizzazione quando si resta assordati dai rumori di dibattiti acritici, senza soluzione, quando ci si aspetterebbero notizie fedeli a quanto accade e un confronto imparziale e diversificato.
Fra giornali, dibattimenti televisivi e social da una parte, e manifestazioni e incontri pubblici dall’altra tanto è già stato comunque detto e scritto.
Forse gli articoli più interessanti e documentati sono quelli che hanno raggiunto solo un pubblico di nicchia.
Ma è una nicchia estesa e energica, sono numerose le persone che hanno scelto la mobilizzazione democratica per ribellarsi a una arrogante politica della paura, dettata da motivazioni e interessi che poco hanno a che fare con la salute.
Ci siamo dedicati a stimolare in noi stessi e in chi ci legge, ci auguriamo, un certo senso critico, la facoltà di pensare, come direbbe il filosofo Fusaro, “altrimenti”. Dono con il quale tutti sappiamo relazionarci a ogni grande tema che presupponga la libera scelta in nome del vivere la propria vita fino in fondo.
Siamo andati all’origine, a scomodare Ippocrate perché simbolo di un’etica medica che riporta al senso della pratica terapeutica, quella che appoggia l’atto di cura sulla salvaguardia della Vita intesa nei suoi valori umani ontologici.
Che uomo è il medico di oggi? Quale scienza è al servizio dell’essere umano? Quale politica si sta curando del bene comune e del nostro futuro?
Personalmente, mi risulta particolarmente inaccettabile questa sorta di ricatto morale per cui viene urlata la responsabilità del singolo rispetto a un supposto bene della collettività. Una tale manipolazione non è solo fuori da ogni contesto logico più ampio, è anticulturale, è sostanzialmente priva di ogni etica sociale e dimostra quanto poco rispetto venga riconosciuto all’individuo in quanto Io consapevole e responsabile del proprio agire, dalla cui libertà e democratica sensibilità nasce la possibilità di creare     comunità.
Un uomo privo della sua individualità è un uomo vuoto, svuotato della sua capacità di discernimento e di scelta perché ha rinunciato alla sua attività immaginativa, critica, anelante di sapere.
Non sa più essere libero.
Come ci racconta Valentina Voce nel suo saggio sulla storia di Hannah Arendt, un uomo come Eichmann, così assente a se stesso, perduto nell’oblio di un’obbe-dienza annichilente, diventa disumano.
La Libertà, una volta conquistata non può essere considerata scontata per sempre, abbiamo necessità di coltivarla e proteggerla, qualsiasi società, fase storica o esperienza di vita individuale si affronti, perché coincide con la nostra stessa vita e realizzazione identitaria. Fa parte del compito di ogni individuo scegliere fra ciò che sente un bene e ciò che sente un male, per sé e quindi per la propria collettività.
La realtà non è tutta quella che certa stampa ci racconta o quella apparentemente dibattuta in politica, ma siamo in tanti ad essercene accorti e ad agire il nostro “pensiero ribelle”. Questa è la nostra scelta, e ha il suo peso.

Il rimedio diventa farmaco: quanto ci costa e cosa guadagniamo?  
Importanti novità emergono nel campo della medicina omeopatica a livello di normativa nella produzione e commercializzazione dei rimedi.PBS OMEOPATIA cover
Se da un lato anche l’Italia si allinea finalmente con una politica già in atto da anni in altri paesi dell’Unione Europea, la burocrazia e le procedure di realizzazione di questi farmaci nel nostro paese sono diventate inverosimilmente complesse e costose.
Le conseguenze si tradurranno in termini di irreperibilità in farmacia dal gennaio 2019 di circa il 60% di medicinali attualmente disponibili. A non essere prodotti non saranno rimedi non efficaci, ma i meno prescritti, un parametro esclusivamente quantitativo, che non prende in considerazione la necessità terapeutica di quel numero sia pur più basso di pazienti.
Un processo di cambiamento che negli altri stati ha richiesto tempi lunghi anni, da noi è scaduto lo scorso giugno, dopo decenni di elusione nell’applicazione delle norme relativi a questa regolamentazione. Perché quella di eludere e rimandare è un’arte tutta italiana che non risparmia nessun settore mentre gli altri paesi vanno avanti.
Stabiliti come ultimi i termini dalla Legge Finanziaria 2015, il Ministero della Sanità (la stessa governance che contemporaneamente ha rivoluzionato il sistema delle vaccinazioni) ha rifiutato ogni richiesta di proroga per la presentazione da parte delle aziende produttrici di quei complicati dossier con i quali gli stessi rimedi, già usati da decenni nella terapia omeopatica, avrebbero potuto essere registrati come farmaci negli elenchi dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Le linee guida per la compilazione di questi dossier è stata data con pesanti ritardi alle aziende produttrici, che da parte loro non hanno saputo accordarsi per dividersi i differenti rimedi da registrare, in modo equo e organizzato. Ossia accadrà che lo stesso rimedio venga prodotto da più marchi, perché più prescritto e quindi venduto, mentre altri scompariranno completamente dalla produzione italiana. Resta internet, l'acquisto online, che però non garantisce la sicurezza nella produzione del farmaco.
Sono tanti gli aspetti da conoscere e ci siamo rivolti alle diverse figure professionali in campo omeopatico per chiedere le risposte necessarie soprattutto ai pazienti in un quadro d’insieme più comprensibile.
In questa pubblicazione troverete numerose interviste, articoli, informazioni sugli scenari attuali e futuribili, senza lasciare in secondo piano quelle che sono le peculiarità della medicina omeopatica, che non può essere assimilata dentro i protocolli indifferenziati in cui viene praticata la medicina allopatica e il farmaco di sintesi.
Un numero importante, aperto dall’editoriale di Simona Mezzera e scritto con la collaborazione di Carlo Cenerelli, Giovanni Gorga (Omeoimprese), Giuseppe Spinelli (Cemon), Laura Borghi, Elio Rossi, Antonio Lopez, Pia Barilli, Paola Iop, Valerio Selva…

Coverfb

EDITORIALE:

Chi stiamo diventando nell’era liquida della globalizzazione?   PBS CONFINI LIQUIDI

 

 

 

Quello dei confini è fra i temi fondamentali nella nostra esistenza, ciò che li segna e ciò che vi scorre è la nostra stessa capacità di stare al mondo.
È attraverso di essi che stiamo in relazione. Per quanto sia in assoluto la nostra prima  esperienza dal concepimento in poi, è così continuamente portatrice di cambiamenti e trasversale in ogni manifestazione, che non diventa mai compiuta e conosciuta, neanche, sarei portata a pensare, al momento della nostra fine come individui nella terra.
Sono i confini che ci portano a chiederci chi siamo, dove e con chi; è la nostra anima costretta a ritrovarsi in essi.
Dobbiamo al film documentario Liquid borders, della regista indiana Barnali Ray Shukla
lo spunto per scrivere questo numero, con l’aiuto anche delle riflessioni poste dal filosofo Bauman, coniatore dell’espressione  Modernità liquida, che ci riguardano sia socialmente sia individualmente in questa nostra era di internet, in cui la tecnologia soprattutto rende tangibile il sovvertimento di ogni definizione e regola, il superamento di limiti divenuti insufficienti, che trovano una falsa risposta nel falso mito di quella globalizzazione che sta “consumando” noi.
Anche a me la parola confini evoca subito un senso di vastità e allo stesso tempo un bisogno di oltrepassare ciò che li segna, almeno dentro di me. Credo sia un’urgenza a misurarmi con la mia limitatezza cercando nuovi scorci da cui scoprire un orizzonte più grande. Il desiderio di avvicinarmi a quell’infinito che forse noi esseri umani possiamo contenere solo nella più piccola delle nostre cellule originarie. Un “viaggio di ritorno” che ci fa ritrovare sconfinanti nel futuro. Quella cellula d’Acqua da cui veniamo, continua a essere conduttrice in noi delle più svariate emozioni, di calore, di un perenne movimento che la fragile ma resiliente struttura biologica delle nostre ossa, di pelle e terra contengono non senza porosità.
Il corpo ci limita, ma i confini della nostra mente, dell’immaginazione e degli spazi psichici ci contornano come un magico permeabile elastico che ogni giorno può tendersi ancora e ancora, incontrando l’ambiente, la diversità, lo sconosciuto.
Allora, la parola confine mi porta ad altre:  appartenenza, e quindi mio. Quell’acqua che ci conduce verso il fuori e quindi all’altro, può diventare legame o barriera, può aiutarmi oppure mettermi in pericolo, e mi chiedo se non sia proprio quel senso del mio, che trasforma l’appartenenza in possesso, a creare quella differenza.
Quelle estremità che ci permettono di stare nel nostro posto, di radicarci, di sentire il legame con la cultura da cui siamo nati, di assumerci un ruolo esistenziale anche a livello sociale, e anche di toccarci, ha bisogno di territorialità, di regole e di leggi laddove l’etica fallisce, destinata alle prove dell’errore umano… ma davvero possiamo convincerci che un mare possa essere nostro? che possiamo esorcizzare la paura della nostra finitezza prevaricando la vita di chi è già in pericolo, o decidendo chi o da quale punto di coordinate geografiche salvare altre vite o rinnegare quella fratellanza naturale?
Come si pone in relazione un terrorista? privo della liquidità del dubbio com’è, granitico nel sentirsi detentore di una verità chiusa e morta nella sua immobilità, così drasticamente priva di senso del divenire che la sua stessa vita non vale più niente, che il suo futuro è delegato alla trasformazione creata dall’autoesplosione del proprio corpo e di quelli di tante altre persone, considerate solo errori da cui purificare il mondo.
Gli animali lottano per il territorio perché preservano la specie, uccidono per nutrirsi, riconoscono il potere nel branco solo come funzionale e transitorio; noi abbiamo sconfinato il bisogno delle sopravvivenza e molte limitatezze bio-sociali da millenni, il nostro divenire ha allargato le coscienze, siamo sempre più vicini a forme d’intelligenza estremamente sofisticate a confronto delle loro: allora perché a noi manca quella fiducia di poter creare risposte infinitamente creative ai bisogni della vita di tutti?
Probabilmente ogni generazione, soprattutto dalla rivoluzione industriale in poi, ha a un certo punto pensato che il suo mondo stesse cambiando, e ora che tocca alla mia mi sento preoccupata e impreparata, persino nel cosa pensare, mi chiedo cosa sia bene lasciar andare per progredire o se venga solo perduto un sano senso di umiltà nei confronti della vita stessa, parola che colloco fra i valori positivi, non fra i limiti umani. Mi chiedo se sapremo proteggere la libertà dell’avanzare verso una coscienza più evoluta rispettando l’ecosistema e qualsiasi vita che ci sta dentro; quella libertà in cui l’espressione dell’individuo va a manifestarsi nella realtà collettiva, per dare respiro, non per toglierlo.
Andare incontro a ciò che ciascuno essenzialmente è come persona, resta per me la strada maestra verso nuove frontiere, e questo porta con sé la necessità di relazioni più aperte, e in questo senso liquide, per ritrovare se stessi  proprio in mezzo alla diversità, connessi a un reale bene sociale. Forse è questa la sfida evolutiva a cui già molti di noi siamo, magari inconsapevolmente, pronti?

Energia degli alimenti e rimedi naturali

I contenuti di questo numero nascono dalla trascrizione del seminario di Francisco Varatojo, tenutosi a PerCorsi l’ultimo week end del novembre 2016


PBS ENERGIA DEGLI ALIMENTI coverBrano tratto dall’introduzione de “Il libro dei rimedi macrobiotici” di Michio Kushi, Mediterranee Ed., Roma 1997

“La macrobiotica come noi la conosciamo ora è stata diffusa nel mondo grazie all’attività di George Ohsawa (1897-1966), che ha dedicato quasi tutta la sua esistenza a questo scopo. I suoi sforzi sono stati in primo luogo una manifestazione della sua riconoscenza e della sua gratitudine verso un modo di pensare, vecchio di migliaia d’anni, che anticamente costituiva la base di ogni forma di medicina sia in Estremo Oriente che nel resto del mondo. Ohsawa era pieno di riconoscenza perché, dopo aver scoperto a diciott’anni questa filosofia, egli riuscì a curarsi e guarire, nel giro di alcuni mesi, da una serie di disturbi di cui soffriva, fra i quali anche una gravissima tubercolosi.
Per primo definì questa filosofia di vita <<principio unificante>> e chiamo la sua applicazione nella vita di tutti i giorni <<macrobiotica>>.
All’inizio Ohsawa si preoccupò soprattutto di ricercare i rimedi sintomatici alle malattie ottenibili con ingredienti macrobiotici, e rimase colpito dall’efficacia dell’impiastro di patata taro nel trattamento di infiammazioni, ascessi e ferite. In un secondo tempo confermò l’efficacia sintomatica, nell’ambito di applicazioni giornaliere, degli impacchi di zenzero, delle bevande di daikon o di ravanelli e degli infusi di radice di loto. In certi casi inoltre ricorreva all’agopuntura.
A questo primo periodo ne seguì un altro in cui Ohsawa si immerse sempre più nelle attività di ricerca, sperimentazione e insegnamento degli effetti dei cibi sulla salute. Scrisse diversi libri su queste sue scoperte, alcuni dei quali diventarono dei best-sellers.
Fu in questo periodo che diventò gradualmente consapevole dell’influsso innegabile delle abitudini dietetiche umane sullo sviluppo delle capacità di capire, immaginare, prevedere, decidere ed agire. In altri termini capì che i problemi dell’umanità sono dovuti ad un’evoluzione distorta di tale capacità. Egli riteneva che non solo l’opinione pubblica, ma soprattutto i suoi leaders politici, religiosi e intellettuali subivano questo stato di cose. Se dedicò il resto della sua esistenza alla diffusione dei principi pratici e teorici della macrobiotica, fu con la speranza di dare inizio ad una completa risurrezione biologica e fisiologica dell’umanità, di cui vedeva il progressivo declino fisico, mentale e spirituale. Ohsawa credeva nella possibilità di recuperare una sana capacità di giudizio attraverso una ricostruzione biologica come unica speranza rimasta all’umanità di garantire una pace mondiale. Per questo, nella maturità, egli si staccò dalle tecniche curative sintomatiche perché, se si risolvono i problemi solo in modo sintomatico, non si fa che posporre la necessità di trovare ed applicare una cura vera e radicale."                                                     

Michio Kushi

PBS FATTI di TESTA cover sito

FATTI di TESTA è il titolo che abbiamo dato a quest'ultima uscita (è un numero doppio) del nostro periodico, per rappresentare il tema che abbiamo voluto proporre: il troppo pensare o la fede nel pensare che la razionalità, la logica apparenza di ciò che ci sembra realtà, sia l'unico o il miglior strumento per vivere, per affrontare le circostanze della vita a qualsiasi piano un avvenimento si renda più manifesto. E, infine, l'atteggiamento a voler avere tutto sotto controllo, una rigida vigilanza sul flusso delle cose, che siano avvenimenti esterni o emozioni e vissuti interiori.

Si va a solidificare sempre più una sorta di ipertrofia intellettiva che schiaccia il sentire, le nostre percezioni, i sensi che si aprono al non visibile.

Un numero ricco, con aerticoli che declinano l'argomento da punti di vista diversi e con metodologie e studi differenti: dalla medicina omeopatica alla relazione d'aiuto con il counseling e il lavoro con la "persona" e il Qigong; la vista con il metodo Bates, la bocca e l'odontoiatria naturale... ma ancora molto altro.

L'intervista a un giovane regista che ha portato un capitolo della storia di Firenze nelle sale cinematografiche d'Italia e oltre, con il suo film "L?Universale".

Attualità, tecnologia, alimentazione.... ma anche recensione psicoanalitica di un bellissimo film e per la rubrica Libri, l'analisi dell'affascinante storia giallo-noir del contemporaneo autore cinese Qui Xiaolong.

 

 

 

 dall'articolo di Rita Vitrano

" [...] Il rischio è di inglobare nozioni e ideologie che, se non metabolizzate e fatte individualmente proprie, possano generare equivoci, false conoscenze, persino facili alibi.
Il conoscere presuppone un’elaborazione sincera e vissuta del sapere nozionistico, servono l’esperienza, il corpo, gli stimoli emozionali, il vivere il momento in cui si è, per avvicinarsi a un cambiamento autentico, capace di rivelarsi a mano a mano negli atteggiamenti verso il mondo.
Fermare nella nostra testa tanti pensieri, che non hanno modo di integrarsi con le altre parti, non può trasformare la nostra vita, ci potrebbe far coincidere con filosofie intelligenti e affascinanti, e alla fine limitarci e generare altra separatezza.
Quando siamo rinchiusi nella nostra mente non riusciamo neanche a comunicare, nella relazione con l’altro la nostra presenza non arriva, non viene percepita....
...Il “capo” ha assunto una posizione di egemonia e induce a considerare ciò in cui si identifica come sapere, intelligenza, cultura, qualificandoli in qualche modo superiore al corpo.
La testa non fa sentire che se stessa, e induce ingannevolmente a una falsa difesa dalle emozioni, dal dolore e dall’esperienza  di attraversarli positivamente, capacità questa unicamente propria dell’essere umano che così trova risorse, fiducia in se stesso, e ricerca di senso nella sua esistenza.
La facoltà del pensare è un movimento che non ristagna dentro il guscio cranico, è  espressione di un continuo processo psichico attraverso il quale l’essere umano prende coscienza di sé e può confrontarsi nella relazione con altro da sé.
Un indifferenziato ingorgo di cognizioni, di “lo so” ostacola la crescita. Noi pensiamo con la nostra psiche, con l’immaginazione, con il linguaggio. [...]

 

 

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