Generalmente si intende per debito generazionale l’ammontare dei debiti finanziari che una generazione non riuscirà a ripagare e quindi lascerà ai propri figli. Ad esempio, il debito pubblico e il deficit pensionistico. Ma il vero debito accumulato nei confronti delle future generazioni non è misurabile con un controvalore in denaro.
Una compulsiva ricerca di benessere basato sui consumi, unita a una crescente capacità tecnologica hanno condotto l’umanità negli ultimi 150 anni a depredare sistematicamente le risorse del proprio habitat (la Terra) ben oltre la sua capacità di rigenerazione.
Le riserve energetiche fossili (gas, petrolio), che si sono formate nel corso di milioni di anni, si vanno rapidamente esaurendo; anche nelle stime più ottimistiche, le scorte si esauriranno nel giro di pochi decenni¹. Certo possiamo sperare che il progresso tecnologico porti ad un maggiore sfruttamento di fonti alternative a quelle fossili e forse il nostro stile di vita non risentirà di questa crisi; ma intanto abbiamo immesso nell’atmosfera una tale quantità di CO2 che, anche se interrompessimo totalmente le emissioni, comunque il processo di alterazione dell’equilibrio climatico andrebbe avanti per secoli².
Il “consumo di territorio” procede a ritmo incalzante e ha toccato soglie di allarme. Parlando di consumo di territorio alludo a quelle aree sottratte non solo alla loro totale naturalità (terre non toccate dall’intervento dell’uomo), ma anche all’uso agricolo; quindi le aree cementificate, non più capaci di accogliere l’acqua piovana e immagazzinarla nelle falde sotterranee; non più capaci di ospitare quella ricchezza di forme di vita che proliferano in tutte le aree naturali.
La quantità abnorme di aree cementificate necessarie al nostro stile di vita molto difficilmente potrà tornare alla sua condizione originaria o almeno di sostenibilità. Il ciclo dell’acqua e la biodiversità: due pilastri della vita sulla terra vengono progressivamente compromessi dalle attività umane, ad uso e consumo delle presenti generazioni, a danno delle future³.
Ma non basta. Quantità crescenti di scorie nucleari, residui del ciclo di produzione di energia o di armi, vengono immagazzinate in depositi che non possono garantire la sicurezza per i tempi lunghi necessari alla riduzione di radioattività di questi materiali; tempi che coinvolgeranno centinaia di generazioni⁴.
La lista sarebbe ancora lunga: le armi, i prodotti chimici e sementi transgeniche, l’impoverimento delle forme di vita nei mari, la plastica, il debito pubblico... quasi ogni aspetto della nostra vita sembra improntato all’insostenibilità; ovvero a scaricare sulle future generazioni il costo del nostro benessere. E, come se non bastasse, l’idea dominante di progresso punta decisamente a peggiorare la situazione: crescita della produzione di beni e loro consumo, modello di sviluppo energivoro.
Sembrerebbe una strada senza uscita; e forse lo è davvero.
Ma sentirsi individualmente impotenti e schiacciati dal peso di tale situazione non aiuta a compiere scelte consapevoli. Se qualcosa cambierà nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente, questo cambiamento deve avvenire in primis sul piano antropologico.
Le stesse regole di convivenza, di rapporto con l’ambiente, le aspirazioni di benessere che hanno guidato l’uomo da sempre, diventano insostenibili se si avvalgono dell’enorme potenziale tecnologico della modernità.
Per questo sono convinto che oggi l’uomo debba mettere profondamente in discussione se stesso. Non conosciamo ancora le future modalità di convivenza sociali, né le consuetudini che regoleranno il rapporto con l’ambiente; ma certamente dobbiamo prepararci ad un cambiamento radicale.
Ritengo che l’atteggiamento “educativo” che ha guidato l’avvicendarsi delle generazioni, basato su un semplice passaggio di saperi, competenze, fondamenti morali debba cambiare profondamente. La natura ci insegna che nei momenti di crisi, nella ricchezza della biodiversità e nella diversità genetica certamente ci sono gli elementi per una rinascita della vita; proprio quegli elementi apparentemente “diversi” dalla norma, in una situazione di crisi ambientale possono rivelarsi gli unici in grado di adattarsi a profondi cambiamenti. Nello stesso modo, in un momento di profonda crisi antropologica in cui i valori fondamentali della società vanno rivisti, pena la possibile estinzione della specie, credo che formare individui dotati di senso critico, abituati ad alzare lo sguardo per guardare lontano, sia l’unico lascito possibile per i nostri figli.
Note bibliografiche
¹ Picco di Hubbert, Wikipedia
Richard Heinberg, La festa è finita, Fazi Editore
² V. Ferrara, A. Farruggia, Clima: istruzioni per l'uso, Edizioni Ambiente, 2007
³ C. Gardi, N. Dall'Olio, S. Salata, 2013. L'insostenibile consumo di suolo. Edicom Edizioni
⁴ Antonio Ruberti, Smaltimento delle scorie nucleari: un problema irrisolvibile, Umanità Nuova Edizioni