Viviamo in una complessa e molteplice realtà che ora più di sempre cambia rapidamente e tocca tutte le dimensioni esistenziali, da quella soggettiva più intima a quella ambientale globale. E noi ci viviamo dentro, e siamo anche un po’ confusi per non sapere più cosa ci abbiamo guadagnato e cosa ci stiamo perdendo.
Si sussegue un veloce ritrovarci in un nuovo luogo di confine in cui ciclicamente è necessario reinventarci. Il treno viaggia rapido e dal finestrino il panorama cambia veloce e insegue nuove immagini. E’ fondamentale rendersi conto che il maggior punto di stabilità è nello stare presenti a se stessi, accorgersi che le risorse più fertili e benefiche ciascuno le porta dentro e le riscopre sempre nuove quando si pone con attenzione nella relazione con e intorno a sé.
A volte non è un gesto immediato, serve una mano.
La nuova fotografia sociale, familiare e del singolo mostra necessariamente esigenze diverse anche nella metodologia e nella tempistica dei percorsi di aiuto.
Il counseling si configura proprio come Relazione di ascolto e cura di sé, lavorando con quella apparente semplicità che è grazia e mai superficialità, su percorsi sempre chiari, sui temi della vita di tutti i giorni, con tempi brevi.
Naturalmente fuori da ogni retorica buonista e approssimativa, che altro è che competenza.
Il counselor ci dà consigli? Per fortuna no! E non sembri poco se troviamo ascolto, senso della fiducia, vicinanza, uno specchio umano non freddo ma più nitido in cui rielaborare la nostra immagine, i confini sani del nostro essere.
Quando una persona ci ascolta davvero, quando possiamo dirle davvero cosa abbiamo dentro, dare un nome ai nostri sentimenti, siamo più vicini al nostro io e proviamo il calore di quella presenza. Io sono proprio io e mi ricordo, e può commuovermi, come davvero esisto.
Allora non ho più bisogno che ci sia qualcuno che mi consigli su cosa voglio scegliere per me.
C’è in me un cambiamento, una maturazione. E mi accorgo meglio di come questo tocchi di riflesso anche coloro con i quali sono in relazione.
I momenti di crisi ci interrogano e cercano di riportarci a noi. Ci allenano alla flessibilità che vince sull’immobilità, sulla rigidità di posizioni, di attaccamenti, gli stessi che provocano sofferenza e trattengono il processo del mutamento continuo della vita. Una domanda alla base può essere: in cosa voglio impegnare le mie energie? Negare e trattenere, scegliere di avere ragione a ogni costo, ricrearmi, esplorare altre visioni, darmi altre possibilità... a noi la scelta.
La pratica del quotidiano rivivifica, introduce sia l’inesperienza che la conoscenza già acquisita, nella realtà spingendola avanti attraverso i luoghi interiori, corporei, emozionali dell’individuo verso la trasformazione in sapere e creatività, in coscienza.
La nostra storia è la nostra vera competenza, e andiamo a scriverla e interpretarla giorno per giorno, ci confrontiamo creativamente con l’esterno per la continuità della nostra identità e partecipazione attiva alla realtà.
Dentro la scelta di voler fare un percorso di counseling preme inevitabilmente un bisogno di essere onesti con se stessi, leali nei confronti di una propria verità che al momento chiede riconoscimento. Parlare liberamente di ciò che si vive è come fare un nuovo incontro con se stessi, vedersi con più chiarezza. La modalità di ascolto che sperimentiamo con il counselor diventa passo passo un nuovo modo di ascoltare il nostro sentire.
Ciascuno poi ha dentro di sé come un'officina alchemica, dove crea la magica trasformazione di sé fra spirito e umanità, elabora le esperienze della vita e dell'anima in un modo singolarmente unico e autentico.
Siamo una continua creazione di questa unione alchemica, ed è una vera e propria miniera di risorse, anche quando riconoscerle, estrarle comporta un lavoro faticoso.
Ciascuno di noi ha una casa interiore, spazi articolati, complessi, disegnati su una struttura in parte ricevuta per eredità, in parte ricostruita da avvenimenti e scelte di vita. Ci sono soffitte piene di ricordi, con bauli di esperienze dimenticate, stanze dei giochi, cucine dove con calore e nutrimento elaboriamo in continuazione le cose del quotidiano, spazi in cui ospitiamo gli altri e socializziamo, ci sono camere da letto.
Sì, perché la nostra vita è fatta di incontro, dell’Io che incontra un Tu e ci si rispecchia, ci dialoga; si scontrano, si amano. Senza questa interrelazione non troveremmo identità, individualmente né socialmente, saremmo dei fantasmi di carne.
Come avviene nella vita “esterna” anche le nostre stanze interiori sono popolate da “personaggi” e dinamiche, antiche e del presente, che convivono a loro modo, si cercano, tendono a un ritrovamento pacifico in un unico centro.
Lo spazio e il tempo sono beni preziosi, ci servono nella misura giusta per noi e non hanno molto a che fare con l’organiz-zazione logistica di un quotidiano fatto di automatismi alienanti. Non possiamo confondere il tempo con l’orologio.
Per questo trovare un buon metodo di condurre il quotidiano è importante, per stabilire priorità, affrontare con equilibrio gli impegni più di ordine pratico senza lasciarci fagocitare, e assicurando sempre attenzione e cura ai momenti più intimi con noi stessi e con chi ci è vicino, quel sano ozio fatto di cose impalpabili e semplici che fermano la testa, calmano l’ansia, e giocano con quella leggerezza che ci sgombra dal “troppo”.
Ogni giorno da tutto quel fare raccogliamo esperienze, materiali che poi abbiamo bisogno di metabolizzare, rielaborare dentro di noi perché ci accrescano; ci vuole tempo per questo, ci vuole spazio, come quando per parcheggiare la nostra auto abbiamo bisogno di una certa area per la manovra, non potremmo usare solo l’ingombro preciso dell’auto.
Tempo e spazio sono necessari al movimento, al dinamismo creativo che ci appartiene; ciò che è fermo diventa ingombro statico e solo la nostra coscienza (comprendendo bene che anch’essa è in movimento) può sapere che posto e funzione dargli, se e quando è anche il momento di lasciar andare, di non trattenere.
E quando c’è spazio è più facile che ci sia armonia, bellezza.
Viviamo nel ritmo del respiro, del cuore che si dilata e si contrae, del prendere e del dare in un unico cerchio d’azione, ed è molto di più di una metafora della sopravvivenza; in quella circolarità, fase dopo fase, ciascuno segna quell’impronta unica del suo essere.
Siamo molto di più che soggetti che sopravvivono.
Una vita piena di significati, ossia vissuta con scelta e capacità di riconoscere valore alle piccole e più grandi cose, è il miglior aiuto e il sostegno più affidabile nei momenti di cambiamento, nelle difficoltà, nell’incertezza, nel dolore. E’ il vero capitale affettivo, emotivo, sapiente a cui andiamo ad attingere quando emerge una situazione di sofferenza.
Accade che quando si è completamente immersi in una situazione di malessere non sia facile da soli andare a cercare quelle risorse, a volte non sospettiamo neanche di averle, siamo cresciuti ma nessuno ci ha insegnato a coltivare i nostri talenti, a trarre forza da ciò che di positivo abbiamo ricevuto e creato.
Una coppia, giovane o consolidata negli anni, che per qualche motivo sente spezzato un equilibrio che non regge più, ha molta più forza per fare una nuova scelta, che sia di cambiamento o di riconferma, se ha preso a piene mani, individualmente e insieme, quel bene vissuto fin ad allora. Non sente distrutto tutto, “vittima dell’inganno della vita”. Valorizzare, conservare nel cuore i momenti positivi vissuti, aiuta a non perderne i significati pieni, e questo rafforza interiormente. Nessun avvenimento per quanto traumatico può derubare di quei momenti, e con quelli vivi è più facile trarre nuove risorse per rendersi flessibili a una situazione che cambia, che esige di più da noi. Si è più motivati e chiari nel rispondere al nuovo.
Una donna che entra in menopausa, che ha imparato a coltivare la relazione con il proprio corpo, ha dato spazio e attenzione ai significati delle esperienze della sua vita, non avrà paura del proprio sentire, di accorgersi che c’è dentro di lei un movimento importante e diverso. Si accorgerà che anche i suoi pensieri, i bisogni e i desideri si stanno rinnovando in lei, e vanno di pari passo con il cambiamento del suo corpo. Resta in contatto con la naturalità del suo fisico che costantemente si modifica, ha dentro di sé la capacità di ritrovare nuova consapevolezza in ciò che sente accaderle, non è ferma a un’idea mentale e cristallizzata del suo corpo, distaccata da ciò che come donna è nel nuovo presente.
Un uomo che ha vissuto interamente la sua vita professionale e insieme umana, vivrà con più naturalezza l’arrivo del pensionamento, non è identificato completamente con un ruolo professionale fuori dal quale sente di non esistere. Ha altre passioni e ancora desideri a cui dedicarsi.
Di questo si occupa il counseling, di sostenere una persona che vive con disagio o sofferenza un avvenimento, un aspetto, una fase della sua vita e cerca dentro di sé l’energia e la capacità di vedere più nitidamente in quel vissuto, attribuirgli un significato proprio, affrontarlo nel modo più sentito perché più vero per lei, per poter andare oltre.
Il passato, le soffitte, restano dentro di lei, si ricorderà che hanno un valore, ma nel qui ed ora di un percorso di counseling tutta l’attenzione è rivolta a come sente quella situazione corrente, si lavora sugli spazi attuali della casa interiore.
Il presente è l’osservatorio privilegiato che ci contiene e ci fa sentire il legame dei piedi sulla terra, e da lì è sempre rintracciabile un nuovo senso, altri punti di vista, possibilità diverse di scelta e di azione verso il superamento.
E ci è di grande aiuto avere un obiettivo, personale e sincero, come un pezzetto di ponte fra presente e futuro.
Il dialogo con il counselor non parte dalla sua mente indagatrice che cerca problemi e elabora soluzioni, si evolve intorno a una “curiosità attenta” rivolta a conoscere e incontrare la persona che gli parla, a incoraggiare in lei una nuova apertura perché diventi, attraverso l’esperienza di quei passi di cammino insieme, un canale di flusso aperto con se stessa.
Relazione d’aiuto è favorire il contatto, la ricerca, una nuova conoscenza di quell’individuo che incontra se stesso, il sentire che ha in sé i propri bisogni e le risposte, e l’aiuto significa lasciare che questo accada. A questo si presta il counselor con il suo lavoro, a essere parte, mai protagonista, di quell’attra-versamento che sempre e comunque deve riportare la persona a se stessa. La sua prima abilità è nella qualità della “presenza” che non è mai passiva. Si tratta di bilanciare delicatamente ma con “mestiere” quella gentilezza di chi sa accompagnare, senza porsi in un ruolo direttivo o da esperto di quei sentimenti che solo chi li sta esprimendo può sentirli per ciò che sono.
In questo senso il counseling ha anche un aspetto “auto-educativo”: la persona si riappropria di parti di sé, impara a rendersi conto di un meccanismo che le è usuale mettere in atto, lo associa a un quadro di insieme più vicino alla sua interezza, si abitua a essere più leale con se stessa e perciò poi con gli altri, apre o approfondisce un dialogo introspettivo e un proprio muoversi nei suo spazi, crea collegamenti più chiari fra ciò che le accade esternamente e ciò che è all’interno.
Sono piccoli-grandi cambiamenti che piano piano abituano a toccare con mano il processo del proprio vivere, la forza di scegliere per se stessi, quella particolare gioia intensa che è il sentirsi responsabili di sé, dei propri pensieri, delle parole che si usano, del comportamento che si assume, dei sentimenti a cui si sceglie di dare spazio.
Corresponsabili dei fatti della giornata, partecipi della realtà.
Quando si parla di responsabilità le si associa spesso la fatica di un peso, un senso del dovere che il più delle volte opprime, e così si perde la forza vitale di quel piacere connaturale che è scegliere per se stessi. La propria libertà.
L’esperienza di un buon percorso di counseling resta una traccia e un ritrovamento di strumenti che continuano a essere a disposizione autonomamente, per il cammino di vita che prosegue.
E in quel proseguire potrà essere più immediato il piacere di riconoscere la pienezza e il valore di ciò che siamo e che facciamo, un nuovo patrimonio da reinvestire per progredire.