A leggere molte delle cifre dell’attuale crisi economica secondo le teorie della decrescita¹, dovremmo rallegrarci non poco.
La prima vittima, in ordine cronologico, è stato il sogno di poter generare infinita ricchezza attraverso la speculazione finanziaria. Pur senza conoscere e capire bene i sofisticati meccanismi di “subprime” e “derivati”, anche il più ingenuo e sprovveduto cittadino ha compreso che affidare i propri risparmi a istituti finanziari nella speranza che questi, attraverso incomprensibili e quasi magiche operazioni, restituiscano importi maggiorati e rendite sicure, è un bluff. Nella migliore delle ipotesi è un gioco sporco in cui, per ognuno che “guadagna”, ci sono altri che perdono. L’uso del denaro per fini totalmente avulsi da qualsiasi contesto territoriale o produttivo ha perso qualsiasi credibilità; e questo è sicuramente un punto per coloro che hanno sempre sostenuto l’importanza di un’economia al servizio delle persone e del soddisfacimento delle esigenze; negli ultimi anni, senza averne piena consapevolezza, ci siamo abituati ad un’economia globalizzata e avvitata su se stessa, sempre più incapace di sostenere le attività produttive; dunque, il crollo di questo sogno non può essere accolto che come un risveglio.
Ma, mentre ancora facciamo fatica a comprendere appieno la fine di questo sogno, con toni di grande tragedia ci viene quotidianamente sottoposto il “problema” del calo dei consumi; in una società ingolfata da una produzione eccessiva di merci, dove è necessario indurre i consumi attraverso costose e sofisticate campagne promozionali, dove la quantità di rifiuti genera problemi enormi, dove l’infelicità insita nel possesso di beni subito obsoleti è palese... perché non dovremmo rallegrarci per una modesta riduzione dei nostri “sprechi”?
Come Serge Latouche ha brillantemente spiegato, la crescita infinita è insostenibile. Un sistema che basa il suo futuro sulla necessità di consumi in eterna crescita è semplicemente destinato al collasso perché l’ambiente in cui viviamo ha limiti abbastanza precisi in termini di risorse; secondo studi sull’impronta ecologica², l’umanità ha superato già da tempo il limite di consumi imposti dai tempi di rinnovamento delle risorse del nostro pianeta e sta intaccando progressivamente le disponibilità per le prossime generazioni.
Eppure, la nostra società accoglie con sempre maggiore angoscia l’evoluzione di questa crisi che, ogni giorno di più, ci appare senza soluzione. Di fronte all’impellenza della disoccupazione, della precarietà, della perdita di diritti appare fuori luogo ragionare in termini di decrescita; quasi che la solidarietà sociale e il rapporto corretto con l’ambiente fossero lussi per società opulente. Al contrario, i criteri proposti dalla teoria della decrescita sembrano dare risposte precise ai problemi posti dall’attuale crisi economica: minori consumi, ma maggiore e più equa distribuzione della ricchezza; meno lavoro, ma più tempo per relazioni e cultura; meno competitività, maggiore solidarietà, sia a livello individuale che globale.
Di fronte a una situazione di crisi o malattia, ogni organismo può reagire in modi diversi: può rifiutarsi di prendere coscienza del proprio stato, sperare che tutto torni come prima, magari alienandosi in una condizione di iperattività, oppure può reagire cercando di comprendere l’origine del problema.
A noi la scelta.
¹ La scommessa della decrescita, S. Latouche, Feltrinelli, 2007
² L'impronta ecologica. Come ridurre l'impatto dell'uomo sulla terra, Mathis Wackernagel, William Rees, Milano, Ed. Ambiente, 2004