La gravidanza è un momento particolare della vita della donna in cui l’aspetto medico, ultimamente, sta sempre più prendendo il sopravvento: visite, ecografie, esami del sangue e soprattutto integratori alimentari vengono considerati con maggior attenzione rispetto all’accompagnamento discreto che l’ostetrica dovrebbe fare lungo i mesi di attesa della donna.
Appena inizia la gravidanza si parte con la prescrizione dell’acido folico, della vitamina B12, del ferro, del fluoro e a volte di complessi multivitaminici con l’idea che più vitamine si prendono meglio è. Perché vengono date e soprattutto quali sono gli effetti collaterali che un uso prolungato di queste sostanze provoca non viene invece più di tanto affrontato.
Se una donna mangiasse in modo equilibrato con una alimentazione varia che prevede cereali (riso, pasta, farro, orzo, ecc) meglio se integrali, legumi, verdura e frutta di stagione, semi vari (lino, zucca, girasole, mandorle, pinoli), proteine animali in quantità ridotta e soprattutto di origine diversificata (carne di coniglio, pollo, manzo, pesce, latticini di capra e di mucca) assumerebbe tutte le sostanze necessarie per lei e per il bambino. Inoltre, in natura, le vitamine e gli oligoelementi si trovano in concentrazioni e in rapporto diverso nei cibi in modo da essere assorbibili più efficacemente secondo le necessità dell’organismo.
Se poi, invece dell’alimento intero, vengono assunti i vari componenti scissi e separati si ha un loro aumento forzato con alterazione di altri elementi presenti nell’organismo.
Già Braibanti nel 1984 sottolineava il pericolo di dare troppe vitamine durante la gravidanza, in quanto si sposta il delicato equilibrio esistente fra di esse con il rischio di creare gravi stati di disvitamitosi.
La frammentazione di un elemento provoca inoltre la perdita dell’energia vitale del prodotto. Nel caso di una somministrazione adeguata come quantità e necessità, per esempio di vitamina C, in modo frammentato non arriva all’organismo quell’energia vitale che accompagna l’alimento in cui si trova, ma qualcosa di morto e non vitale che non ci nutre in profondità.
Per riassumere, siamo a favore di un approccio sistemico che sostiene che ogni alimento per prima cosa abbia una sua energia, in relazione al luogo di crescita, alla stagione in cui matura, alla sua forma, al suo colore, al fatto che si sviluppi sottoterra o verso l’alto, oltre ad avere all’interno una varietà di nutrienti con delle loro precise proporzioni e rapporti. Anche nel nostro organismo, come si diceva prima, esistono dei fini equilibri fra le sostanze. Nel momento in cui questi si alterano dobbiamo adattarci di conseguenza; se per esempio somministriamo vitamina A da sola faremo scattare la necessità da parte dell’organismo di tutti gli altri elementi che in genere la accompagnano, paradossalmente si tende a mangiare di più per cercare quello che manca.
Da ultimo è utile evitare un uso indiscriminato di vitamine per non abituare l’organismo a un quantitativo eccessivo che ne indebolisce la sua capacità di assimilazione in situazioni di normalità.
Vorrei poi spendere due parole sull’eliminazione di queste sostanze, in quanto se in eccesso cercheranno vie di scarico che in genere sono a livello intestinale, renale o cutaneo. Ora devo dire che nella mia pratica clinica vedo sempre di più bambini con dermatiti fin dai primi giorni di vita, la causa di tutto questo è veramente complessa e si potrebbe ampliare molto il discorso, ma a volte una semplice attenzione alla dieta della madre che allatta con sospensione del complesso vitaminico assunto porta a un cambiamento notevole della pelle del bambino.
Non voglio dire in assoluto che non ci possa mai essere bisogno di integratori; a volte, con l’aumento di richieste durante la gravidanza, alcune madri possono non assorbire tutto quello di cui hanno bisogno, ma questa evenienza, se si segue una sana alimentazione, è piuttosto rara e va individualizzata e aiutata di conseguenza. Mi limiterò in questa occasione a parlare solo di alcune delle sostanze che vengono più frequentemente prescritte in gravidanza: magnesio, ferro, fluoro e acido folico.
Magnesio: è un oligoelemento che va molto di moda da un po’ di tempo a questa parte, basta avere una contrazione muscolare o essere un po’ tesi perché, anche al di fuori della gravidanza, lo si consigli. Durante poi questo periodo la si considera come la panacea per molte situazioni dall’ipercontrattilità uterina, all’insonnia, all’irritabilità, a tutti gli stati di maggiore tensione psicofisica.
Insomma un po’ di magnesio non lo si nega a nessuno. Nell’organismo si trova in parte nelle ossa e in parte nei tessuti e nel sangue dove attiva centinaia di enzimi alcuni dei quali sono coinvolti nella scomposizione del glicogeno in glucosio e nel trasferimento di energia; è importante anche per determinare il flusso di elementi a livello della membrana cellulare e nel rilassamento muscolare. Infatti mentre i movimenti del calcio all’interno della cellula causano contrazione, quando questo viene sostituito dal magnesio si ha l’opposto.
Inoltre il magnesio è cofattore della vitamina B1 e B6, è necessario per la crescita e la formazione delle ossa, per i tessuti muscolari, per stabilizzare la struttura delle cellule corporee e in caso di loro riparazione e mantenimento. La necessità di magnesio aumenta quando l’alimentazione è ricca di carboidrati, in caso di infezioni, in inverno e in gravidanza.
Per quanto riguarda l’assorbimento, compete con il cacio; diete ricche infatti di questa sostanza possono inibirlo come pure la presenza di vitamina D, o un uso eccessivo di alcoolici, dolci, grassi saturi e latte. Nel diabete, nelle malattie renali o cardiache, nell’uso prolungato di antibiotici, della pillola e di diuretici, si può avere una sua carenza. Ci può essere inoltre una ipomagnesemia neonatale nei prematuri. La mancanza di magnesio può essere espressa da sintomi quali ansia a volte con impressione di morte imminente o attacchi di panico, ipersensibilità, iperattività, insonnia, affaticamento, movimenti involontari degli occhi, della lingua e dei muscoli in genere, palpitazioni, extrasistole, aritmia, sindrome di Raynaud, ipertrofia prostatica, enuresi notturna, calcoli renali, nausea e vomito.
Ci possono essere anche dei sintomi da eccesso fra cui possiamo ricordare sete, vampate di calore, debolezza muscolare, pressione bassa del sangue, confusione, perdita dei riflessi, depressione, diminuzione del respiro. Possiamo quindi ipotizzare che dato in “sovradosaggio” in una donna in gravidanza possa provocare (come la vasosupprina che fortunatamente ora viene meno usata) una decontrazione anche delle pareti uterine che perdono quindi la capacità di massaggiare il bambino. Non viene perciò stimolata la sua percezione cutanea con perdita di quell’azione che, oltre a essere utile per il suo sistema immunitario, svolge una funzione contenitiva così importante per la vita extrauterina. Possono diventare bambini che richiedono, alla nascita, quello che non hanno avuto durante il periodo intrauterino, hanno bisogno di essere tenuti molto in braccio giorno e notte per recuperare lo stimolo perso.
La donna incinta necessita giornalmente di un apporto di magnesio di 450 mg il dì, circa 100 mg in più rispetto al fabbisogno usuale. E’ un oligoelemento che si trova nei semi di girasole, nei fagioli di soia, nei semi in genere soprattutto nelle mandorle, nel pesce, nelle farine e nel riso integrale, nei frutti di mare, nei legumi, nei vegetali a foglia verde e nel cioccolato. Una dieta ricca di latticini e povera di prodotti integrali può portare a un deficit nell’assorbimento di magnesio e un aumento di calcio nei tessuti.
Un’altra possibilità di assumerlo poco con l’alimentazione è quello di usare prodotti coltivati industrialmente in terreni che non vengono ruotati e dove si usano pesticidi e diserbanti che impoveriscono le sue riserve. Non è quindi un alimento così difficile da recuperare, bisogna stare attenti alla provenienza del cibo e usare prodotti preferibilmente integrali cosa del resto consigliata anche per altri motivi in gravidanza (vedi diabete gestazionale).
Ferro: è un altro integratore molto prescritto soprattutto nell’ultimo periodo della gravidanza quando fisiologicamente la donna si anemizza per prepararsi al parto. Intanto bisogna dire che le anemie legate a una carenza di ferro sono visibili da un valore basso del volume dei globuli rossi che si può leggere banalmente da un semplice emocromo che viene richiesto fra gli esami del sangue durante l’epoca gestazionale. Se invece i globuli avessero un volume troppo grande siamo di fronte a una insufficienza di vitamina B12 o acido folico.
Con l’avanzare della gravidanza comunque si possono avere valori inferiori di emoglobina, senza variazione del volume globulare, in quanto il sangue materno aumenta la sua massa senza variare il suo contenuto per potersi distribuire sui due circoli; questa “anemia” ha la funzione di prevenire la trombosi; un sangue troppo denso, in situazioni di stress acuto come si ha nel parto, può infatti andare incontro alla formazione di piccoli coaguli.
Dare quindi troppo ferro quando non serve può essere pericoloso, può da una parte forzare la formazione di globuli rossi nel sangue, aumentare il rischio di trombosi, depositarsi nei tessuti muscolari e quindi anche nell’utero rendendolo più rigido e meno elastico durante il parto. Si ha in questo caso una situazione opposta alla precedente, quando si somministra troppo magnesio ci si può trovare di fronte a una atonia uterina con difficoltà contrattile, contrazioni poco efficaci, nel caso del ferro invece l’utero può diventare una corazza con maggiore fatica alla dilatazione e una maggiore sensazione di costrizione e rigidità sul bambino. Uteri poi molto contratti possono non dilatarsi e per questo motivo si arriva all’induzione o al parto cesareo. Il ferro è una sostanza tra l’altro presente in natura in una serie di alimenti: lenticchie, frutta rossa (ciliegie, fragole), verdure a foglia verde, prezzemolo, barbabietole rosse, tuorlo, carne, frutti di mare, sardine, cereali integrali, frutta secca come uvette, pesche e albicocche. L’assorbimento è diminuito in caso di assunzione di tè, caffé, derivati della soia, nel corso di alcune terapie con antiacidi o tetracicline.
Fluoro: da una ventina di anni hanno riconosciuto il ruolo del fluoro nella prevenzione della carie per cui c’è stato un periodo che veniva assunto giornalmente dai bambini e dalle donne durante la gravidanza per prevenirne l’insorgenza. Ancora oggi alcuni ginecologi, malgrado molti studi dimostrino la dannosità di questa sostanza, continuano a somministrarlo.
È presente in piccole tracce nelle ossa, nei denti, nella tiroide e nella pelle. A livello naturale si trova in alcuni cibi: tè, cereali, pelle del pollo, reni, alcuni pesci. Circa il 70-80% del fluoro è contenuto nelle ossa e nei denti. È necessario all’organismo in piccoli quantitativi e può essere, per la sua natura chimica, particolarmente tossico se vengono superate anche di poco le concentrazioni utili. Tra l’altro negli anni 50 è stata messa in relazione la fluorurazione delle acque con l’aumento di bambini affetti da sindrome di Down.
Il fluoro ora è aggiunto a tutti i prodotti per l’igiene dentale, alle acque, in più se dato per bocca come integratore può portare a un sovradosaggio (fluorosi), con discolorazione dei denti sotto forma di macchie a livello soprattutto degli incisivi superiori, alterazioni delle ossa, calcificazione del tessuto muscolare e dei legamenti spinali. Infatti l’eccesso di fluoro aumenta l’assorbimento e il deposito del calcio sotto forma di composti con una resistenza minore alla frattura rispetto a quello che avviene in una situazione di normale calcificazione. Inoltre alcuni autori hanno riportato un effetto mutageno del fluoro con un aumento del tumore all’utero.
Per finire esiste un legame fra uso del fluoro e comparsa del gozzo in quanto il fluoro può depositarsi a livello della tiroide e interferire con il funzionamento ghiandolare. Alcuni studi poi hanno messo in evidenza la comparsa dei deficit di attenzione nei bambini con il periodo in cui in America hanno iniziato a aggiungere fluoro nelle acque.
Acido folico: deve il suo nome al fatto di essere stato scoperto per la prima volta negli ortaggi e nelle verdure a foglie verdi (questo già la dice lunga sul fatto di essere una sostanza frequente nel mondo vegetale). È stata poi riscontrata anche nel fegato, nei fagioli, nel germe di grano, nel lievito, nel tuorlo, nelle barbabietole, nel succo d’arancia e nel pane integrale. È una sostanza instabile che quindi si deteriora facilmente, il 70% dell’acido folico può perdersi nelle verdure fresche lasciate a temperatura ambiente nell’arco di tre giorni, o nell’acqua di cottura o per esposizione al calore.
Nonostante tutto il normale fabbisogno, 0.2 milligrammi, di acido folico viene coperto da una alimentazione normale. La sua funzione è correlata a quella della vitamina B12, è coinvolto nel metabolismo degli aminoacidi e nella sintesi degli acidi nucleici, nonché nella formazione dei globuli rossi e di alcuni costituenti del sistema nervoso. Una sua carenza può quindi portare a una difettosa sintesi di DNA nelle cellule che si dividono con disparità fra citoplasma (normale) e nucleo delle cellule (alterato).
Tipico di questa situazione è la comparsa di anemia megaloblastica caratterizzata da globuli rossi di volume aumentato che vanno incontro a una maggiore distruzione per la loro fragilità.
La motivazione per cui in questi ultimi anni si somministra l’acido folico prima del concepimento e nei primi tre mesi successivi (alcuni ginecologi la consigliano fino alla fine dell’allattamento) è legata al fatto che alcuni studi hanno riportato una diminuzione di malformazioni genetiche in donne che avevano assunto in gravidanza dosi maggiori di acido folico. Ci può essere un suo ridotto assorbimento in caso di disturbi gastrici, morbo celiaco, malassorbimento intestinale, o per l’assunzione di farmaci chemioterapici, anticonvulsivanti o contraccettivi orali. Non sono stati registrati a oggi effetti collaterali anche se alcune donne hanno riferito alcuni disturbi quali diarrea, insonnia, incubi e pruriti generalizzati. Per la mancanza di reazioni avverse riconosciute, in alcuni paesi hanno pensato di “fortificare” i cibi con questa sostanza in modo da coprire l’intera popolazione femminile fertile senza considerare quale impatto può avere sull’organismo in generale l’uso di una sostanza di sintesi in concentrazioni.