Sono diventata ostetrica nel 1978. Quello è l'anno in cui mi sono laureata all’Università, ma il mio percorso è iniziato prima e tuttora continua. partotraumaamore
Avevo 24 anni, un interesse vago per la salute della donna e diverse esperienze alle spalle in cui cercavo la mia professione. Dopo svariate ricerche e cambiamenti, fisioterapia, facoltà di medicina, disegnatrice pubblicitaria… ero approdata a ostetricia seguendo una illuminazione che mi prese una mattina su una spiaggia calabrese dove sbarcavo il lunario come gelataia nell'attesa del nuovo anno scolastico.
Non so perché, ma quando mi venne in mente senti che finalmente ci ero arrivata: avrei fatto l'ostetrica.
La scuola era pesante, teoria e pratica. Ma la sensazione più intensa che ancora ora mi porto dietro è quella di non riuscire a capire se quello a cui assistevo nelle sale parto era la realtà della nascita o una orrenda trasposizione.
Mi sembrava impossibile che il buon Dio avesse previsto questo iter terribile per il più sacro degli eventi: la nascita di un essere umano.
In quegli anni le donne partorivano sole, confinate in squallide e asettiche stanze, spesso lontane da comprendere i propri bisogni, dove si agiva su di loro e non con loro; un periodo in cui la medicalizzazione del parto sembrava avere risolto tutti i problemi e in cui si conosceva poco di fisiologia e ormoni, e si partoriva distese su rigidi lettini con le gambe divaricate e qualcuno che spingeva, tagliava o tirava... senza che io capissi se era davvero necessario.
Era il trionfo della delega, le donne pensavano di non saper partorire e gli operatori confermavano la loro impotenza e incapacità.
Quando arrivò il giorno della laurea ricordo chiaramente che pensai: così no. E ricominciai a disegnare in uno studio di architetti.
Ma gli anni erano bollenti, il femminismo avanzava, le donne cominciavano a chiedere altro, i movimenti per un parto umanizzato sorgevano da tutte le parti e alcuni personaggi si imponevano nella opinione pubblica come fautori di una nuova ostetricia. Solo per fare qualche nome, medici come il dott. Braibanti, Frederick Leboyer, Michel Odent o un’antropologa come Sheila Kitzinger… e un flusso di energia e ricerca coinvolse le nuove generazioni di ostetriche che si affacciavano alla professione.
Fu così che potei riaffrontare la domanda iniziale e cercare di capire se con un altro approccio quello che mi sembrava un trauma originario e irreversibile potesse trasformarsi in un evento accettabile e... chissà forse anche positivo.
La ricerca cominciata allora è durata per tutti questi anni e non è ancora finita, ma sì... ho piano piano compreso che aggiustando il tiro e aprendo la mente e l'ascolto, la nascita poteva diventare molto di più, un'occasione unica e irripetibile di esperienza, conoscenza, gioia e dolore, emozione ancestrale, trasformazione personale e apertura, oltre alla meraviglia ogni volta di incontrare un nuovo essere che si affaccia al mondo.
Ci sono due soggetti principali in questo evento: la donna e il bambino. E per entrambi il processo è legato a leggi antiche determinate dalla fisiologia.
Per la donna e per il bambino partorire e nascere è un momento acuto, topico, necessario e utile.
Ed è programmato da una danza di ormoni che dà il via a un percorso che non ha altro fine che quello di permettere la vita dell'essere umano, con le sue infinite variabili, culturali e razziali, famigliari e personali, biologiche ed emotive che fanno si che ogni individuo sia un unico e irripetibile soggetto.
Proprio in quanto acuto il parto non è e non può essere un percorso indolore.
Ma il dolore previsto e programmato dalla specie può diventare intollerabile per la donna se al percorso fisiologico si sommano interventi di "aiuto" , eseguiti sicuramente in buona fede, che però la estraniano dal proprio vissuto e dal proprio corpo e agiscono su di lei in zone che sono connesse alle parti più intime e ai sentimenti più profondi.
Da manovre violente, episiotomie ingiustificate, spinte sulla pancia. posizioni di impotenza, interventi non ben compresi e spesso mal spiegati possono originare disagi sessuali ed emotivi che persistono anche per moti anni.
Tutto ciò complicato da un’ulteriore frustrazione per le donne, condizionate dal credere che in fondo non si possano lamentare, che non sono capaci e che senza gli operatori non porterebbero a termine il compito. Tutto ciò "per il bene del bambino" e così il disagio diventa incapacità, impotenza, estraniamento dal ruolo materno.
Nessuno può affermare che partorire sia facile: nella vita di una donna rappresenta uno dei momenti più impegnativi sia da un punto di vista fisico che emotivo. Richiede un processo di apertura totale. Un abbandono delle proprie difese nell’accoglienza dell’altro. Un’accettazione completa dei propri limiti per superarli e trasformarli in un percorso di nascita/rinascita.
Come pensare che tutto ciò possa essere facile?
Ma il parto è regolamentato da quella parte del nostro cervello, l’ipotalamo, dove sono scritte le leggi antiche della vita che a sua volta sovraintende alla produzione e gestione di una cascata di ormoni che rendono possibile la nascita del bambino. Forse il difficile è accedervi perché per farlo dobbiamo avvicinarci alla nostra parte più ancestrale e primitiva schermata e nascosta da quella più razionale e sulla difensiva che affronta la vita di tutti i giorni.
Una donna motivata, consapevole, vicina a se stessa e al proprio centro, sostenuta da un ambiente facilitante, morbido e accogliente, dalla presenza di un’ostetrica meglio se di fiducia attenta e disponibile, e dal sostegno emotivo del partner, se gradito, che la supporti affettivamente nella condivisione di un evento così rilevante anche nella coppia, una donna in questa situazione può vivere il parto come un evento previsto e in cui il trauma si scioglie proprio nel fatto steso di viverlo con tutta la sua presenza fisica ed emotiva.
Per il bambino la nascita è evidentemente il percorso necessario per arrivare nel mondo. Dall'eden della vita intrauterina dove la sopravvivenza è garantita e attutita da calore, acqua e dolce far niente tocca percorrere un lungo corridoio che porterà a incarnarci in questo nostro mondo caratterizzato da contrasti: dovremo imparare a gestire la fame e la sete, il caldo e il freddo, fare la cacca, dormire e avere sonno… ma anche avere paura, essere preda di emozioni, gestire desideri e pulsioni, amore e sentimenti.
Per l’essere che arriva, il neonato, credo bisogni attutire il colpo, lavorare per una accoglienza che scateni anche in lui gli ormoni dell’adattamento e lasciargli il tempo e l’agio di maturare competenze e sicurezza non solo alla nascita ma anche nei mesi successivi.
E’ necessario garantire al neonato un imprinting che vada nella direzione dell’armonia, dell’accoglienza, in modo che gli arrivi il messaggio che va bene, ci posso stare, ho la gioia e la sicurezza e il desiderio di vivere. E piano piano arriveranno anche le capacità individuali.
Certo, esistono anche nascite difficili.
Avviene che pur mettendo in atto tutte le precauzioni e le attenzioni per alcune donne sia più dura, o che qualche bimbo abbia più difficoltà a lasciare l'eden dell'utero e lanciarsi in questa dimensione faticosa della vita terrestre.
Allora in questi casi la medicalizzazione non solo è utile ma diventa necessaria. L'importante è non dimenticare mai che la consapevolezza, il sostegno e l'accompagnamento aiutano a sciogliere il trauma e a accettare la realtà.
La chiave di lettura non è infatti costruirsi un immaginario a cui aderire per forza, ma fornirsi di risorse che ci mettano in grado di affrontare gli eventi della vita senza venirne traumatizzati e/o sconfitti.
E’ proprio in questi casi che noi dobbiamo affinare ancora di più il nostro ascolto nel trovare spunti reali di sostegno attraverso l'uso della parola e dell’elaborazione, ma anche attingendo a strumenti che possono venire dalle medicine olistiche quali omeopatia, floriterapia, osteopatia, medicina antroposofica o altro che risuoni positivamente alla donna.
Personalmente ho riscontrato grandi benefici dall’aiuto di capaci professionisti che sappiano individuare e somministrare farmaci/rimedi che oltre che lavorare sul piano fisico estendono la loro efficacia sul piano emotivo e personale.
Oltre che dare alla donna/coppia/bambino la possibilità di elaborare la loro esperienza con l'accettazione, la comprensione e soprattutto l’assenza di giudizio dando piuttosto spazio all’amore. Già, l'amore!
Perché alla fine è anche di questo che stiamo parlando quando parliamo di nascita.
Si tratta di un’emozione, di un sentimento, impalpabile e travolgente. Che però dà senso e arricchisce tutta la nostra vita.

“L’amore
Ma l'amore è timido. L’amore ama la discrezione,
il silenzio, la penombra.
E fare l’amore davanti al medico,
gli studenti, le infermiere, le levatrici, gli elettricisti
e sotto i riflettori è un po’ difficile.
Di solito non funziona.”
F. Leboyer

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