Nella letteratura omeopatica per ogni rimedio sono descritte le differenti relazioni con gli alimenti
L’ “individualizzazione” della malattia di ogni paziente è lo scopo della visita dell’omeopata, durante la quale sono raccolte tutte le informazioni che saranno utili per prescrivere il rimedio più adatto.
Le informazioni riguardano la descrizione dei sintomi, le circostanze che lo modificano migliorandolo o aggravandolo, la storia personale del paziente e le sue malattie pregresse, ma soprattutto il modo di vivere la sua vita e di reagire agli stimoli esterni, emotivi e non.
Il compito dell’omeopata è raccogliere informazioni utili a delineare, magari con pochi tratti essenziali, l’identikit del paziente e della sua sofferenza. A questo scopo l’omeopata farà delle domande e tra le sue domande tipiche ci sono quelle relative al cibo, cioè domanderà quali sono gli alimenti che il paziente ama mangiare o che sono per lui disgustosi e cercherà di conoscere quali alimenti procurano nel paziente sollievo o aggravamento.
Quando si affronta questa tematica, l’omeopata deve tenere conto anche di differenti chiavi di lettura. Un primo livello è riuscire a capire quanto queste relazioni siano “genuine” e quanto siano il prodotto di convinzioni sociali e culturali. Soprattutto in questi tempi, il nostro modo di alimentarci dipende da “informazioni” che provengono da fonti di vario tipo, che sono non solo l’educazione familiare, ma anche le convinzioni del gruppo sociale di appartenenza, il martellamento pubblicitario o i più disparati consigli di tipo nutrizionistico. Spesso si mangia più con la testa che con la pancia ed è il mangiare con la pancia, cioè seguendo il proprio istinto personale, che l’omeopata deve riconoscere.
“Bevo due litri di acqua il giorno, perché devo depurarmi… ma in realtà non berrei mai perché non ho mai sete…” “Mangio solo legumi e cereali perché so che fanno bene alla mia salute, ma vorrei tanto nutrirmi di hamburger e patatine fritte...” “Ho l’osteoporosi e il medico mi ha consigliato di bere latte che poi non digerisco…”
Nella letteratura omeopatica, cioè nelle materie mediche omeopatiche, per ogni rimedio sono descritte le differenti relazioni con gli alimenti.
Di conseguenza, l’accertare, per ogni paziente, i suoi personali gusti alimentari è un sistema per selezionare, in modo preciso, il rimedio che aiuterà il paziente nel recupero della sua salute. Una volta assunto il rimedio, questo metterà ordine ed equilibrio su tutti i piani del paziente a cominciare da quello emozionale per arrivare a quello fisico.
In tempi recenti, si parla molto di allergie alimentari e intolleranze alimentari. Le prime sono mediate da un eccesso di Immunoglobuline E, gli anticorpi che aumentano in tutte le allergie e possono arrivare a manifestazioni gravi come lo shock anafilattico.
Le intolleranze alimentari invece non sono mediate dalle IgE e conseguentemente non rispondono ai test allergici cutanei. Sono però anch’esse gravi procurando molti disturbi dell’apparato digerente e di tutta la persona e sono ritenute in grado di innescare e sostenere le allergie respiratorie.
Ippocrate, nel IV secolo avanti Cristo, ammoniva “Che l’alimento sia la tua medicina e la tua medicina sia l’alimento”. Ma l’alimento può diventare anche il tuo veleno.
L’omeopatia insegna che la malattia si produce da uno squilibrio psico-fisico prodotto da un agente esterno patogeno, un batterio, un virus, un alimento ma anche uno stress emotivo, che interagisce con la nostra sensibilità o la nostra scarsa resistenza verso quell’agente esterno.
Detto questo, potremmo difenderci in due modi. Potremmo sterilizzare il mondo esterno e annullare tutti gli stimoli negativi, il che sarebbe impossibile anche costruendo una gigantesca campana di vetro al di sotto della quale rifugiarci.
L’altra strada è fortificarci e aumentare le nostre difese.
In India, si dice, che il prototipo dell’uomo perfetto è lo yogi illuminato, colui che è immune al morso del cobra più velenoso. Senza arrivare a questi livelli di perfezione, è possibile migliorare noi stessi e renderci più resistenti.
La scienza ufficiale ci dice che queste intolleranze o allergie si manifestano in presenza di uno sbilanciamento della barriera intestinale e conseguenti alterazioni della funzione di quest’organo. Questo corrisponde a un eccesso o a una carenza di certi enzimi, all’aumento di produzione di sostanze che potenziano l’infiammazione, come l’istamina.
L’apparato digerente non ha più le giuste informazioni su come gestire l’apporto di cibo che, quotidianamente, deve digerire, assimilare e smaltire. A sua volta, il cattivo funzionamento dell’apparato digerente si traduce in altre informazioni errate al resto dell’organismo, che riconoscerà come veleno un alimento buono e, all’opposto, un alimento velenoso o tossico come buono.
Ci sono varie ragioni perché questo accada. Hanno infatti il loro peso gli alimenti “processati”, cioè trasformati dall’industria e quindi arricchiti di additivi e conservanti e l’uso sistematico di farmaci, quali gli antibiotici, che alterano e distruggono la nostra flora batterica.
Ma c’è dell’altro. Un autore americano, Michael Gershon, circa trent’anni fa scoprì che tra le funzioni dell’intestino non ci sono solo quelle di digestione e di assimilazione degli alimenti, ma gli ha riconosciuto altre funzioni. L’intestino ha una superficie totale di 300 metri quadrati e presenta, al di sotto dell’epitelio che lo riveste, un tappeto di tessuto linfatico, costituito dalle placche del Peyer, da linfociti e da Immunoglobuline A: è un organo in continuo contatto con l’esterno e rappresenta una prima linea immunitaria, atta a discriminare ciò che appartiene al nostro organismo (self) da ciò che gli è estraneo (non-self) e a intercettare ed eliminare tutto ciò che sia potenzialmente dannoso. L’intestino è anche il principale produttore del neuro-ormone serotonina, i cui recettori, collocati prevalentemente nel sistema nervoso centrale, regolano varie funzioni: sessualità, appetito, umore, sonno, ansia, aggressività, ma anche apprendimento e memoria. Quindi, l’intestino ha una funzione affine al sistema nervoso centrale, tanto da meritare l’appellativo di “secondo cervello”.
Gershon ha poi dimostrato come il benessere o il malessere intestinale sia interconnesso con il nostro benessere e malessere generale. I rapporti d’interdipendenza tra questi due organi avverrebbero nei due sensi, dal cervello all’intestino e dall’intestino al cervello.
Circa un secolo fa, un omeopata illustre, James Tyler Kent si era accorto di questo tipo di corrispondenza e aveva riscontrato forti analogie tra i due apparati. L’apparato digerente accoglie gli alimenti provenienti dall’esterno, li deve digerire, spezzettare, trasformare e dopo questa trasformazione accoglie e assimila ciò che nell’alimento è buono e nutriente ed elimina ciò che può essere nocivo per l’organismo.
La stessa funzione è assolta dal cervello che è sempre in contatto con sollecitazioni esterne e anch’esso dovrà assimilare i buoni pensieri, dopo averli separati dai cattivi pensieri destinati a essere eliminati.
Entrambi svolgono una funzione d’interfaccia tra ambiente esterno e l’interno dell’organismo. E in entrambi i casi, il funzionamento dei due organi produce una sorta d’informazione, che sarà scorretta se esiste un malfunzionamento oppure corretta, se la funzione è in equilibrio e armonica.
Sottolineo la parola informazione perché ben si adatta all’omeopatia e al suo meccanismo d’azione. L’accusa che i detrattori dell’omeopatia più frequentemente fanno è che nel rimedio omeopatico non ci sia “niente”, che l’omeopatia sia un grande raggiro, perché i rimedi contengono solo “acqua fresca”. E’ assolutamente vero che nei rimedi omeopatici, sottoposti a numerosissime diluizioni, la sostanza farmacologicamente attiva di partenza, scompaia e non sia più rilevabile, almeno con gli strumenti finora utilizzati. È anche vero che noi, come omeopati e come pazienti che usiamo l’omeopatia, sperimentiamo ogni giorno l’efficacia di questi rimedi.
Scartando l’idea che il rimedio possa agire mediante una stimolazione chimica dei recettori, molti ricercatori, prevalentemente appartenenti alla cosiddetta scienza ufficiale, stanno indagando la possibilità che le nostre vie metaboliche siano stimolate in modi diversi.
La fisica quantistica, che afferma che nessun corpo è separato dall’altro e che ogni entità possiede un proprio campo elettro-magnetico e quindi una propria vibrazione energetica, ci è venuta in aiuto.
Gli enzimi e i recettori, infatti, sono sensibili a stimolazioni fisiche, oltre che di tipo chimico.
I rimedi omeopatici, attraverso le varie diluizioni e dinamizzazioni, cioè le forti scosse impresse alle soluzioni, veicolano le informazioni della sostanza farmacologicamente di partenza che perde la sua componente materiale e presenta la sua componente “immateriale” o “energetica”. Grazie all’acqua delle diluizioni, le informazioni della sostanza di partenza non si perdono, ma addirittura si rafforzano: l’acqua, ormai è dimostrato, ha la capacità di conservare e immagazzinare queste informazioni e di trasmetterle una volta che il rimedio sia stato assunto dal paziente. Le molecole d’acqua assumono una disposizione spaziale al momento del contatto con la sostanza chimica e questa disposizione spaziale si mantiene anche nelle diluizioni successive. Questa disposizione produce tante nicchie o gusci, in apparenza vuoti, ma in realtà, pieni dell’energia e delle informazioni della sostanza farmacologicamente attiva, ormai non più rintracciabile chimicamente.
Un aspetto sorprendente è che questa energia assume la forma di onde a bassa frequenza, simili alle onde-radio. Questo è almeno la conclusione di ricerche fatte dal francese Montagnier che un paio d’anni fa ha ammesso la possibilità che l’acqua, e noi siamo costituiti oltre il 70% di acqua, conservi traccia, sotto forma di onde-radio a bassa frequenza, del contatto con sostanze attive da un punto di vista metabolico. Queste onde-radio sono simili a quelle che viaggiano nell’etere e ci portano a casa le notizie e la musica, quindi, ancora una volta informazioni.
Potremmo citare le parole di Paolo Bellavite, ricercatore italiano dell’Università di Verona, dicendo che il rimedio omeopatico ha un alto «contenuto informazionale» capace di costituire un orientamento verso l’equilibrio e la salute, qualcosa come un “catalizzatore di ordine” o un “segnapassi”….
Riconosciuta la capacità di trasporto d’informazioni da parte del rimedio omeopatico, proviamo a considerare di quale tipo d’informazioni si tratta. In tutte le cose, e nel nostro organismo in primis, sono possibili vari livelli di lettura e di valutazione. Parlando di alimentazione, non possiamo negare che nel cibo sono presenti significati più alti. Se pensiamo al latte, in presenza di un’incapacità a digerirlo, penseremo a un difetto enzimatico. La lattasi, l’enzima preposto, manca o è insufficiente oppure lavora male. Ma nel latte sono presenti altri significati. Il latte è il primo alimento dell’uomo, è l’alimento che permette al lattante di crescere e di allontanarsi dalla madre per attrezzarsi per una sua vita autonoma e indipendente.
Al tempo stesso è anche il veicolo principale dell’affetto materno e ha in sé il senso della protezione e della difesa. In omeopatia molti rimedi presentano difficoltà di digestione del latte e tra questi molti sono rimedi che trovano impiego nell’infanzia.
Calcarea carbonica è un rimedio ottenuto dalla conchiglia dell’ostrica e corrisponde, da un punto di vista chimico, al carbonato di calcio, che è un costituente essenziale delle ossa ed è presente anche nei cementi e nei calcestruzzi usati in edilizia. I concetti di questo rimedio sono il guscio e quindi la protezione del mollusco verso l’esterno e anche il sostegno e la durezza delle ossa, che fanno da impalcatura al nostro organismo fisico e che, crescendo, permettono il movimento e quindi l’autonomia e l’indipendenza da sostegni fisici e morali.
Il bambino Calcarea carbonica, il bambino che cioè richiede questo rimedio, oltre a problemi nella digestione del latte, avrà una crescita rallentata, ossa deboli e problemi con i denti e tenderà, poi anche da adulto, a manifestare difficoltà a realizzare una vita del tutto autonoma, ricercando il sostegno della madre, della famiglia o di un gruppo. Il rimedio permetterà di alleviare le difficoltà di digestione dell’alimento, e darà anche un rinforzo all’autostima e al senso di sicurezza alla persona.
Quindi l’informazione che il rimedio dà riguarda il livello fisico, quello degli enzimi e della digestione, ma contiene anche informazioni meno organiche e più emozionali. Nel rimedio è quindi contenuta la quintessenza del guscio di conchiglia dell’ostrica. E’ come la ghianda che contiene in pochissimo spazio il progetto di una quercia secolare e immensa. Quindi questo è il tipo d’informazioni che il rimedio è in grado di dare. E poiché la malattia nasce da uno squilibrio interiore, a un livello “immateriale”, così anche la guarigione deve procedere prima nell’interiore per poi dare manifestazione di sé a livello fisico.
Hahnemann, che è il padre fondatore dell’Omeopatia, diceva che per curare la malattia, che è uno squilibrio immateriale, non-fisico dobbiamo ricorrere a rimedi di natura immateriale. Facendo altrimenti cioè non equilibrando il livello più profondo della persona, non si avrà mai la guarigione.
Bibliografia
Paolo Bellavite: La Complessità in Medicina
Michael Gershon: Il Secondo Cervello
James Tyler Kent: Lectures on Homeopathic Philosophy
Samuel Hahnemann: Organon